L’allenamento dei Monaci Shaolin

I guerrieri Shaolin

La storia insegnata a scuola illustra le gesta di numerosi popoli, i cui leader riuscirono in imprese che hanno dell’incredibile. Ma dall’altra parte del mondo un’altra storia viene contemporaneamente scritta: è quella di monaci buddisti che hanno studiato il corpo umano, codificando nel corso delle generazioni uno strumento in grado di conferire alla persona una potenza mentale unità ad abilità fisiche incredibili. La fama dei guerrieri Shaolin, ormai diffusa e – purtroppo – commercializzata in tutto il mondo, viene oggi vista con fascino e curiosità da atleti e curiosi di tutto il mondo.

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La meta è la stessa: il monastero Shaolin di Changchun, una città a nord di Pechino, solo una tra le numerose scuole fedeli alla tradizione e alla cultura marziale cinese. E una volta ammessi ecco che la fiction dei film si scontra con la realtà, una raffica di domande che una dopo l’altra ti accompagna fino alla fine delle prove che ti aspettano o alla fine della tua resistenza fisica o mentale che sia.

Non si tratta di puro allenamento fisico: alle prime luci dell’alba, e a ritmo cadenzato dalla voce del maestro, inizia la preparazione atta a irrobustire il corpo mentre al resto della mattinata e al pomeriggio sono dedicate le attività di riposo e meditazione.

Descrivere nel minimo dettaglio le prove fisiche a cui si è sottoposti ogni giorno non può rendere l’idea: solo convincersi che non si ha altra alternativa che dare il massimo. Ma la cosa più dura è l’autodisciplina: nessuno ti impone standard elevati. Se ti arrendi alla sveglia quando fuori piove, se è più facile lamentarsi che continuare a insistere, se ti rimane ancora fiato per dire cose senza senso, allora non sarai mai maestro di te stesso.

In monastero il tempo si ferma: si perde il conto dei giorni e le brutte notizie di cui i media in occidente ci nutrono appartengono al passato. Una quarantina di studenti da tutto il mondo ma quasi tutti turisti occasionali che non rinunciano alle comodità mondane e si arrendono, lasciando il monastero prima del tempo. E in tema di tempo, quello che rimane da trascorrere viene occupato a leggere, meditare, osservare la natura. Già. Cosa che il nostro stile di vita ci ha silenziosamente privato.

Ritornare in Italia dopo avere “assaggiato” l’allenamento dei monaci Shaolin rende veramente uomini: lasciare una terra di volti felici e al contempo consapevoli di non avere – materialmente – nulla, per tornare in una terra di volti insoddisfatti di avere troppo e di volersi costruire un’immagine falsa di sé è purtroppo il prezzo da pagare. Ma sapere che dall’altra parte del mondo non si dorme ma ci si allena e si lavora duramente per costruirsi un’identità, è il regalo più bello che ti ricorda che sarai sempre il benvenuto.

La mia esperienza come occidentale

4 Agosto 2008

In volo verso Helsinky – 11:48

L’idea era quella di scrivere un breve riassunto, in lingua inglese come mio solito (per mantenere in forma la lingua) e di lasciarlo in archivio per leggerlo in futuro, quando magari avrò già dimenticato, ma voglio scrivere tanto, in italiano, e soprattutto voglio descrivere nel dettaglio tutto ciò che è successo durante questa mia seconda esperienza. Rispondere “è andato tutto bene” è limitante come leggere queste righe o guardare le numerose fotografie che ho scattato, perché come ogni esperienza, se non ci sei dentro non puoi capire.

A chi legge potrà sembrare che sto per scrivere chissà quali imprese o episodi, ma anticiperò il contenuto riassumendo il tutto in una frase: essere protagonisti della propria Vita e non limitarsi ad esserne spettatori passivi, trovando ogni giorno un motivo per apprezzare le piccole cose (non materiali) attraverso un rigida autodisciplina che induca corpo e mente al continuo mettersi in gioco, vivendo il momento senza posticipare ogni istante. Tutto questo attraverso la pratica costante delle arti marziali.

La mia prima esperienza in Cina nel 2006 aveva un obiettivo semplice: andare alle radici di quell’arte che mi ha cambiato, e che per come la sto vivendo adesso ha sempre meno di fisico e molto di umano. Mentre la mia seconda esperienza aveva semplicemente l’obiettivo di imparare uno stile, quello dell’ubriaco, perché oltre ad essere il più difficile tra le discipline appartenenti al wushu (arti marziali) è anche intrigante. Parallelamente a questo ci stava la voglia di riacquisire la calma interiore acquisita subito dopo il mio primo rientro e persa lentamente per via dello stile di vita al quale siamo sottoposti ogni giorno e, mi duole ammetterlo, sarà il mio primo avversario appena rimetterò piede a Milano. Ma stavolta vincerò io.

Dopo quattro giorni, decisamente sorpreso in quanto credevo di essere abituato ad allenamenti molto duri, ero demolito: i muscoli sbattevano, ma sapevo che era dura, allora diamoci dentro, tanto domani è venerdì e il Maestro non ci farà faticare tanto. Tremenda utopia: la prova che dovevamo superare consisteva nel percorrere un tragitto misto salita e discesa, dal lago alla sommità della montagna dove il monastero è stato fondato. A separare il lago dall’edificio c’è una scalinata di trecentottanta scalini tutti consecutivi. Vinceva chi faceva più giri.

Va bene, pochi secondi per pensare: “sono distrutto, non ho le scarpe adatte, fa caldo, ho già fatto il percorso stamattina, non ho pareggiato le ore di sonno e per finire non ho l’acqua con me.” Al via ero già partito. Subito al massimo ma non mi importava, arrivavo dove arrivavo. Conclusione: ho vinto con cinque giri, doppiando alcuni tra gli altri 38 studenti, tra cui un maratoneta professionista.

Attenzione però: se pensate che mi stia pavoneggiando per il risultato, pensate bene, perché in vita mia non credo di aver avuto per pochi istanti la tremenda sensazione di morire, e vi dirò di più: non c’erano premi in palio, non c’era nessuno a guardarmi, potevo benissimo prendermi un arresto cardiaco e nessuno avrebbe mai ripreso con una telecamera le mie gesta. Ma in quei secondi in cui stavo per “vincere” pensai a tutte le volte che mi alzo al mattino alle 4:30, volente o nolente, neve o pioggia, senza che ci sia un obiettivo da raggiungere.

Nella filosofia buddista dei guerrieri Shaolin, dare il massimo è semplicemente un dovere di ognuno, svincolato dal ricevere un “bravo” o un premio in cambio.

Nei giorni successivi non vedevo l’ora che arrivasse sabato: ogni attimo che avevo libero e che non trascorrevo a dormire lo occupavo pensando a cosa stessero facendo i miei amici in Italia, a cosa avrei fatto al mio rientro, insomma: ero già a casa. Finchè un libro mi ha cambiato. In un minuto.

Una frase con scritto: “vivi veramente ogni singolo attimo”. E da quel momento starmene in silenzio nel bosco a guardare il lago era diventato il mio presente. Certo, prendevo il mio tempo per programmarmi il lavoro una volta rientrato al fine di evitare il tipico collo di bottiglia, ma non vivevo con la mente in anticipo. E soprattutto ero libero: nessun telefono, nessuna insegna pubblicitaria con l’obbligo di comprare perché c’è il finanziamento dei tuoi sogni pronto a innescare la catena dello sperpero… e non appena rientrerò cercherò di applicare questa filosofia anche in Italia: vivere con lo stretto indispensabile, senza perseguire nient’altro che non sia connesso alla sopravvivenza e alla crescita spirituale. E un’altra frase mi ha fatto letteralmente esplodere dentro:

il tempo dedicato agli altri ha un valore imparagonabile al denaro.

Che vuol dire? Vuol dire che ho visto gente tornarsene a casa anche dopo un anno volgendo le spalle a un monastero senza anima viva e domandarmi: finisce tutto così? La risposta? Gordon, Josh, Gabriel e Fred che ti accompagnano all’uscita, ti abbracciano, ti fotografano con le lacrime agli occhi perché hai condiviso con loro parte del tuo tempo che in Italia non trovi mai!! E i bambini che ti salutano e disperati cercano un interprete che traduca loro “quando torni a trovarci?”. E dopo che sei salito sul taxi il tassista si ferma perché altri due studenti, Andrè e Den, ti rincorrono per salutarti ancora! Il guardiano del monastero che ti abbraccia! Wang Zi e “Spenkie” che ti regalano il loro set da te in terracotta….

Sei mesi in due anni che ho vissuto in Cina non ho visto addii come il mio. E perché? Non perché ho vinto una coppa. Ma perché con loro ho vissuto il mio tempo libero: ho fatto centinaia di foto pazze, cucinato pasta ogni sabato, la torta ogni due settimane, il campeggio sotto l’acquazzone, ubriaco a casa del Maestro (con lui che diceva: “vuoi imparare l’ubriaco?! Allora bevi!!”), strafogarsi di cioccolato il sabato sera come premio per l’impegno dimostrato, ascoltare la musica metal con Eric che fa il mulinello con la testa mentre tutti i bambini ti guardano ‘che non sanno quello che fai, la finta proposta di matrimonio in ginocchio alla ragazza interprete, la gara di gelati….

Quante cose sono successe… Ma tre sono quelle che più mi hanno stupito: il Maestro Lin che mi regala le sue spade personali (!!) e un paio di gambali, un gruppo di principianti che ti chiede “Fabio vorremmo che ci facessi lezione per una volta, saremo i tuoi allievi”, un signore cinese che all’aeroporto di Changchun ti porta un piatto di riso con crocchette e verdure dopo che lo hai salutato.

Sì lo so, sono quattro cose ma posso andare avanti ancora a raccontare: Yan Xi Chan (interprete) che ti presenta la sua ragazza e le dice “Fabio è il mio migliore amico”, oppure quando mi hanno attribuito il nome cinese “Wei Xong Yan” che significa “persona volta al dovere”.

ATTENZIONE! C’è una turbolenza e l’aereo sta ballando. Ammetto di avere paura ma non me ne vergogno, ma se dovessi morire adesso credo di poter dire senza perplessità di avere capito il significato della vita e di aver raggiunto i miei obiettivi.

Vi sembra una frase grossa, vero? Non è detto che solo gli adulti l’abbiano capita. Forse vanno avanti tappando la bocca alla loro coscienza che bussa sempre tormentando loro con domande tipo “okay, appena ti fermi mi dici qual è il tuo scopo nella vita; cosa vuoi?”.

Potreste pensare che per un monaco guerriero sia tutto più semplice: basta radersi a zero, vestirsi di arancione, alzarsi presto e allenarsi sette giorni su sette: tanto han solo quello a cui pensare: niente tasse, niente famiglia, nessun affitto o rata di mutuo, nessuna macchina da mantenere… Tutto liscio, insomma. Già, ma forse non sapete che il mestiere di maestro, in Cina, è il grado più alto che professionalmente e moralmente si può ricoprire. Ti alzi alle 5 e vai a letto alle 8. Vivi in monastero per tutto l’anno, con due settimane di “ferie” per raggiungere la tua famiglia – se hai avuto la fortuna di fartene una -. Se ti alzi in ritardo o manchi un giorno, perdi il lavoro. Non hai altri amici al di fuori del cuoco, del guardiano e degli altri maestri in monastero. Non hai televisione. La tua stanza ha un letto e basta. Ragazze zero. Moto o automobile? Zero.

Vedere i bambini (senza telefono alla mano) che giocano con gli insetti dopo che si son fatti sette ore di allenamento è una cosa che in occidente non capita più da ormai tanti anni. E poi tutti, ma proprio tutti a raccogliere le erbacce sotto il sole, senza distinzione di rango. Finisco concedendomi un parere in merito: se loro sono felici “in questo stato”, perché non lo siamo noi in Occidente? La risposta è vivere da monaco Shaolin.

 

Fabio Zambelli